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finanziamento di variante al piano con avanzo -parere 68 2011 piemonte

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Messaggio  francodan Ven 8 Lug 2011 - 3:46

Il Comune istante dichiara di aver accantonato nel corso degli esercizi 2007 – 2009 e 2010, risorse proprie nel bilancio, al titolo II della spesa (investimenti), per la redazione della variante strutturale al Piano Regolatore Generale comunale. Di queste, parte sarebbe già stata impegnata per incarichi a professionisti, parte sarebbe invece confluita fra i residui, in attesa della definizione di ulteriori e necessari incarichi.
Alla luce di quanto stabilito dalle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti, con delibera n. 25 del 28 aprile 2011, il Comune chiede se possa ancora continuare ad utilizzare le somme a residuo nel titolo II della spesa, accantonate negli ultimi esercizi, oppure se possa adottare una variazione di bilancio, allocando la spesa nel titolo I (spese correnti), finanziandola, non essendovi previsioni di nuove o maggiori entrate correnti, con l’avanzo di amministrazione del 2010, ovvero dell’ultimo esercizio finanziario approvato. Il Comune ritiene di poter considerare la spesa in parola, quale spesa di funzionamento non ripetitiva, ai sensi dell’art. 187, comma 2, lettera c), del D. lgs. n. 267 del 2007 (TUEL).
DIRITTO
La funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti è prevista dall’art. 7, comma 8, della Legge n. 131 del 2003 che, innovando nel sistema delle tradizionali funzioni della Corte dei conti, dispone che le regioni, i comuni, le province e le città metropolitane possano chiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti pareri in materia di contabilità pubblica.
Con atto del 27 aprile 2004, la Sezione delle Autonomie ha dettato gli indirizzi e i criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva, evidenziando, in particolare, i soggetti legittimati alla richiesta e l’ambito oggettivo della funzione.
Occorre pertanto verificare preliminarmente la sussistenza contestuale del requisito soggettivo e di quello oggettivo, al fine di accertare l’ammissibilità della richiesta in esame:
1) Requisito soggettivo:
La legittimazione a richiedere pareri è circoscritta ai soli Enti previsti dalla legge n. 131 del 2003, stante la natura speciale della funzione consultiva introdotta dalla medesima legge, rispetto all’ordinaria sfera di competenze della Corte.
I pareri richiesti dai comuni, dalle province e dalle aree metropolitane, vanno inoltrati per il tramite del Consiglio delle autonomie locali. La mancata costituzione di tale organo non rappresenta tuttavia elemento ostativo alla richiesta di parere, visto che la disposizione normativa usa la locuzione “di norma”, non precludendo, quindi, in linea di principio, la richiesta diretta da parte degli enti.
Inoltre la richiesta può considerarsi ammissibile solo se proveniente dall’Organo rappresentativo dell’Ente (Presidente della Giunta regionale, Presidente della Provincia, Sindaco).
La richiesta di parere in esame proviene dal Comune di Campiglione Fenile, ed è stata formalizzata dal suo Sindaco.
Sotto il profilo soggettivo, dunque, la richiesta di parere si palesa ammissibile. Requisito oggettivo:
I pareri sono previsti, dalla Legge n. 131 del 2003, esclusivamente nella materia della contabilità pubblica.
L’ambito oggettivo di tale locuzione, in conformità a quanto stabilito dalle Sezioni Autonomie nel citato atto di indirizzo del 27 aprile 2004, nonché nella deliberazione n. 5/2006, deve ritenersi riferito alla “attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo, in particolare, la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria - contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli”.
Le Sezioni riunite in sede di controllo, nell’esercizio della funzione di orientamento generale assegnata dall’art. 17, comma 31, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno fornito ulteriori chiarimenti (cfr. del. n. 54/2010). Si è precisato, infatti, che la funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo nei confronti degli Enti territoriali deve svolgersi anche in ordine a quesiti che risultino connessi alle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche, nel quadro di specifici obiettivi di contenimento della spesa sanciti dai principi di coordinamento della finanza pubblica e in grado di ripercuotersi direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui pertinenti equilibri di bilancio.
Il quesito posto dal Comune istante, riguardando la disciplina e gli equilibri di bilancio degli enti locali e in particolare le regole per una corretta gestione delle spese, attiene alla contabilità pubblica.
Tuttavia va ricordato che, come già precisato nei citati atti di indirizzo, nonché in numerose delibere di questa Sezione, possono essere oggetto della funzione consultiva della Corte dei Conti, le sole richieste di parere volte ad ottenere un esame da un punto di vista astratto e su temi di carattere generale. Devono quindi ritenersi inammissibili le richieste concernenti valutazioni su casi o atti gestionali specifici, tali da determinare un’ingerenza della Corte nella concreta attività gestionale dell’Ente e, in ultima analisi, una compartecipazione all’amministrazione attiva, incompatibile con la posizione di terzietà ed indipendenza della Corte quale organo magistratuale.
Pertanto, questo collegio, con riguardo al quesito posto, ritiene di potersi pronunciare solo sull’istituto di carattere generale oggetto della richiesta, senza ingerirsi nelle autonome scelte gestionali dell’Ente da adottarsi nel caso concreto.
Nei limiti sopra descritti, la richiesta si palesa, dunque, ammissibile anche dal punto di vista oggettivo.
3) Merito:
Le Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti, con delibera n. 25 del 28 aprile 2011, hanno chiarito che la spesa derivante dall’affidamento, da parte di un comune, dell’incarico a un professionista per la redazione della variante generale al Piano Regolatore Generale non può essere ricompresa tra le spese di investimento, e conseguentemente non è finanziabile attraverso il ricorso all’accensione di un mutuo o ad altra forma di indebitamento, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 119, comma 6, della Costituzione. In particolare, nella delibera citata, con riguardo al significato da attribuire al termine investimento all’interno della citata disposizione costituzionale, si fa riferimento all’art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), che, al comma 18, individua, attraverso un apposito elenco (dalla lett. “a” alla lettera “i”), le operazioni economiche che costituiscono investimenti. Come precisato dalle Sezioni Riunite, “tale elencazione si basa su una nozione di investimento che considera tutti i casi in cui dalla spesa assunta dall’ente derivi un aumento di valore del patrimonio immobiliare o mobiliare. In una parola, un aumento della “ricchezza” dell’ente stesso, che si ripercuote non solo sull’esercizio corrente, ma anche su quelli futuri, proprio per giustificare il perdurare, nel tempo, degli effetti dell’indebitamento”. Conseguentemente, si è ritenuto che la spesa in questione non possa rientrare né nella definizione prevista alla lettera d) del citato comma, cioè tra gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale, né nella definizione di cui alla lettera i), quale intervento contenuto in un programma generale relativo a piani urbanistici dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica, volti al recupero e alla valorizzazione del territorio. In particolare, quanto alla prima ipotesi, pur essendo i costi correnti suscettibili di capitalizzazione ove riferibili a beni dell’attivo patrimoniale a fecondità ripetuta (cfr. artt. 2424 c.c. e ss), non si è ritenuto di poter riconoscere natura di bene a fecondità ripetuta al quale imputare il costo in questione, agli strumenti urbanistici. Si è inoltre escluso di poter ricondurre la spesa per il conferimento di un incarico professionale per la redazione di un piano urbanistico, alla previsione di cui alla menzionata lettera i). Quest’ultima ha ad oggetto “interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del territorio”. La norma fa dunque riferimento esclusivamente ai successivi interventi attuativi delle prescrizioni del piano regolatore, mentre l’incarico per la redazione del piano, o delle sue varianti, seppur caratterizzato da aspetti riconducibili a specifiche competenze professionali e incidendo sull’assetto del territorio, va considerato come attività preliminare all’emanazione di un provvedimento amministrativo di competenza degli organi politici dell’ente.
Le Sezioni Riunite in sede di controllo hanno inoltre precisato che, a fronte del carattere tassativo dell’elencazione di cui all’art. 3, comma 18, legge n.350/03, deve ritenersi anche precluso il ricorso all’analogia al fine di ricomprendere le spese di cui trattasi nella fattispecie regolata alla lettera i) del medesimo comma. Si è ritenuto, infatti, “con particolare riferimento al complessivo contesto macroeconomico, che le disposizioni contenute nell’elenco di cui al citato art. 3, comma 18, della legge 350/2003, vadano lette ed interpretate in senso letterale e restrittivo. Ciò per l’esigenza di assicurare un comportamento gestionale degli enti improntato ad una prassi di assoluto rigore ed in linea con la necessità di garantire il rispetto della regola del pareggio economico del bilancio degli enti locali, che nel nuovo sistema ordinamentale, derivante dalla riforma del titolo V della Costituzione, rappresenta principio cardine della sana gestione finanziaria, a garanzia del rispetto dei complessivi equilibri di finanza pubblica, quali derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Con riferimento alla specifica tipologia di spesa va osservato, in particolare, che il progetto di un’opera pubblica rappresenta di per sé un bene avente un valore commerciale da contabilizzare all’interno dei conti economici degli enti, mentre non sembra possa essere attribuita la medesima valenza all’attività istruttoria destinata a confluire all’interno della delibera approvativa del piano regolatore o di sue varianti”. Si è quindi concluso che la spesa per il conferimento di un incarico professionale per la redazione di un piano urbanistico non rientra fra quelle finanziabili tramite mutuo o altre forme di indebitamento.
Tanto ricordato, passando alle specifiche questioni poste dal Comune istante, il collegio ritiene in primo luogo che, in coerenza a quanto chiarito dalle Sezioni riunite, nella delibera richiamata, la spesa per il conferimento di un incarico professionale per la redazione di un piano urbanistico non possa essere qualificata come spesa per investimento, anche laddove tale qualificazione non sia strettamente funzionale all’applicazione del divieto di ricorrere all’indebitamento (art. 119 della Costituzione), perché finanziata, come nel casi di specie, con risorse proprie.
Il Comune istante ritiene allora di poter considerare la spesa in parola quale spesa di funzionamento non ripetitiva, dunque finanziabile con l’avanzo di amministrazione dell’esercizio 2010, ai sensi dell’art. 187, comma 2, lettera c, del TUEL.
Tuttavia, in merito alla possibilità di allocare la spesa in parola nel titolo I (spese correnti), attingendo, previa apposita variazione di bilancio, all’avanzo di amministrazione del 2010, vanno ricordati i principi e le regole che disciplinano l’utilizzabilità di quest’ultimo, quale risorsa finanziaria cui fare ricorso allorquando risultino insufficienti le risorse ordinarie di cui dispone l’ente (proprie o derivate). Al riguardo, infatti, rileva la qualificazione della spesa, ma rilevano anche, nel loro complesso, i presupposti e i limiti per l’utilizzabilità dell’avanzo di amministrazione, strettamente correlati alle voci che ne hanno determinato la formazione. In particolare va evidenziato come l’emersione contabile di un avanzo di amministrazione possa non corrispondere alla presenza di risorse finanziarie effettivamente spendibili, o comunque ad un risultato di gestione positivo. Ciò può ad esempio accadere nelle ipotesi di avanzo di amministrazione unicamente o prevalentemente imputabile al riaccertamento dei residui, e in particolare ad un saldo positivo di importo tale da compensare un eventuale saldo negativo della gestione di competenza. La possibilità di utilizzare l’avanzo deve dunque sempre confrontarsi con l’attendibilità dello stesso e dunque, in ipotesi come quella richiamata a titolo esemplificativo, con l’importo dei residui attivi e con la certezza ed i tempi previsti per la loro riscossione. “È evidente, allora, che in termini di spendibilità della risorsa finanziaria una cosa è l’avanzo di amministrazione che trova una corrispondenza nel risultato positivo anche della gestione di competenza, altra cosa è, invece, l’avanzo che, in presenza di una gestione deficitaria, risulta esclusivamente dal riaccertamento dei maggiori residui attivi” (cfr. Corte dei conti, Sez. Contr. Basilicata, delibera n. 102/PAR/2009).
L’utilizzabilità dell’avanzo, anche in considerazione della stessa attendibilità del risultato di amministrazione in parola, resta pertanto condizionata ad un’applicazione rigorosa del principio di prudenza (principio contabile n. 3, punto 60, approvati dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità Degli Enti Locali).
Si è inoltre sostenuto, secondo un orientamento condiviso anche da questa Sezione, che l’impiego dell’avanzo di amministrazione deve comunque essere funzionale a esigenze di salvaguardia degli equilibri di bilancio e di sana e corretta gestione finanziaria dell’ente, e pertanto il suo utilizzo, anche per la parte non vincolata, deve essere diretto al finanziamento di operazioni economiche in linea con le politiche di salvaguardia degli equilibri di bilancio (Corte dei conti, Sez. Contr. Piemonte, delibera n.15/pareri/2008; Corte dei conti, Sez. Contr. Lombardia, delibera n. 61/PAR/2009). Rileva, al riguardo, segnalare come sia opportuno utilizzare l’avanzo d’amministrazione non vincolato secondo le seguenti priorità: a) per finanziamento debiti fuori bilancio; b) al riequilibrio della gestione corrente; c) per accantonamenti per passività potenziali, d) al finanziamento di maggiori spese del titolo II e/o estinzione anticipata di prestiti (principio contabile n. 3, punto 67, approvati dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità Degli Enti Locali).
Dei principi sin qui espressi è anche espressione la disciplina di cui all’art. 187 del TUEL, in base alla quale le spese di funzionamento “non ripetitive” possono essere finanziate con utilizzo dell’avanzo, nel corso della gestione, mentre le “altre spese correnti” possono trovare copertura solo in sede di assestamento del bilancio, salvo i provvedimenti necessari al riequilibrio di bilancio, ex art. 193 TUEL. La ratio della normativa è, infatti, quella di mantenere, attraverso una rigorosa corrispondenza tra tipologia di risorsa e tipologia di spesa, gli equilibri di bilancio in corso di esercizio, ripristinandoli eventualmente in sede di assestamento.
L’utilizzo dell’avanzo di amministrazione, in quanto risorsa finanziaria straordinaria, richiede dunque la massima prudenza, quale che sia la natura, vincolata o meno, del fondo in cui sia confluito. Del resto, la natura straordinaria della risorsa, nonché l’indicazione tassativa dei suoi impieghi, non consente di ritenere, per le ragioni prudenziali e di mantenimento degli equilibri generali di bilancio enunciate, l’avanzo di amministrazione non vincolato liberamente spendibile per spese correnti ripetitive (cfr. Corte dei conti, Sez. Contr. Basilicata, delibera n. 102/PAR/2009, già cit.).
In conclusione, l’Ente istante potrà fare ricorso all’avanzo di amministrazione, in quanto risorsa straordinaria, nei limiti della sua attendibilità e dando rigorosa applicazione al principio di prudenza, utilizzandolo, in ogni caso, in corso di gestione, per le sole spese che lo stesso Ente riterrà di qualificare correttamente come non ripetitive, ravvisando in queste ultime la stessa natura della corrispondente risorsa.
P.Q.M.
Nelle su estese osservazioni è il parere di questa Sezione.
Copia del parere sarà trasmessa a cura del Direttore della Segreteria all’Amministrazione che ne ha fatto richiesta.
Così deliberato in Torino nell’adunanza del 6 luglio 2011.

Il Primo Referendario Relatore
F.to Dott. Giuseppe Maria MEZZAPESA

Il Presidente
F.to Dott.ssa Enrica LATERZA


Depositato in Segreteria il 7 luglio 2011
Per il Direttore
(Dott. Federico SOLA)
F.to Maria DURO



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