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TARES ATTIVITA' AGRICOLA C/TERZI
Ciao a tutti,
volevo capire in quale categoria TARES mettereste i locali di una società che svolge attività agricola per conto di terzi. In sostanza sono locali dove vengono ricoverati trattori ed attrezzi e stoccati i cereali. Al momento pagano tutto come deposito tranne la parte dove stoccano i cereali che avevo esentato. Nelle 21 categorie TARES quale sarebbe quella più ideonea secondo voi?
Altra domanda: pur essendo il nostro un comune < 5000 ab, posso comunque usare la classificazione per i comuni >5000 per avere più categorie?
volevo capire in quale categoria TARES mettereste i locali di una società che svolge attività agricola per conto di terzi. In sostanza sono locali dove vengono ricoverati trattori ed attrezzi e stoccati i cereali. Al momento pagano tutto come deposito tranne la parte dove stoccano i cereali che avevo esentato. Nelle 21 categorie TARES quale sarebbe quella più ideonea secondo voi?
Altra domanda: pur essendo il nostro un comune < 5000 ab, posso comunque usare la classificazione per i comuni >5000 per avere più categorie?
DNox- Messaggi : 100
Data d'iscrizione : 11.04.12
tares
tranquillamente pur essendo il nostro un comune < 5000 ab, posso comunque usare la classificazione per i comuni >5000 per avere più categorie
Re: TARES ATTIVITA' AGRICOLA C/TERZI
Linee guida MEF PAG. 32
Come meglio si vedrà, all’interno di questa ripartizione di base delle utenze, sussistono ulteriori sottoarticolazioni, in quanto:
- le utenze domestiche sono suddistinte in sei categorie in relazione al numero degli occupanti (Allegato 1, tab. 1a e 2, del D.P.R. n. 158 del 1999);
- le utenze non domestiche sono differenziate in relazione all’attività svolta, individuandosi 21 tipologie nei comuni fino a 5.000 abitanti e 30 tipologie nei comuni con una popolazione superiore (Allegato 1, tab. 3a e 3b, del D.P.R. n. 158 del 1999).
Sebbene il metodo proponga per le utenze non domestiche una tassonomia parzialmente diversa in relazione alla popolazione del comune, non sembrano esistere ostacoli a introdurre, anche per comuni sino a 5.000 abitanti, categorie di utenza previste solo per i comuni al di sopra di tale livello laddove presenti sul territorio dell’ente, come ad es. cinematografi e teatri, ospedali, magazzini senza vendita diretta, insieme ai corrispondenti coefficienti di produttività.
Sembra altresì potersi ritenere che, nel caso di servizi gestiti a livello sovracomunale ed erogati in maniera omogenea, si possano applicare a tutti gli enti locali, anche se taluni di essi risultino inferiori a 5.000 abitanti, le categorie ed i coefficienti relativi ai comuni aventi popolazione maggiore di 5.000 abitanti.
La ripartizione dei costi tra le due macrocategorie di utenze deve avvenire, come prevede l’art. 4, comma 2, del D.P.R. n. 158 del 1999, secondo “criteri razionali” e assicurando comunque l’agevolazione prevista per le utenze domestiche (che si analizzerà più avanti). Il riferimento a “criteri razionali” implica:
a) la necessità di esplicitare il criterio utilizzato, con correlativa insufficienza di una ripartizione priva di motivazione o meramente apodittica;
b) la razionalità del criterio, che deve quindi fondarsi su fatti o situazioni effettivamente indicative della globale attitudine a produrre rifiuti delle due macrocategorie di utenza;
c) la possibile pluralità di sistemi di ripartizione, individuabili in maniera certamente discrezionale, ma non arbitraria.
Come meglio si vedrà, all’interno di questa ripartizione di base delle utenze, sussistono ulteriori sottoarticolazioni, in quanto:
- le utenze domestiche sono suddistinte in sei categorie in relazione al numero degli occupanti (Allegato 1, tab. 1a e 2, del D.P.R. n. 158 del 1999);
- le utenze non domestiche sono differenziate in relazione all’attività svolta, individuandosi 21 tipologie nei comuni fino a 5.000 abitanti e 30 tipologie nei comuni con una popolazione superiore (Allegato 1, tab. 3a e 3b, del D.P.R. n. 158 del 1999).
Sebbene il metodo proponga per le utenze non domestiche una tassonomia parzialmente diversa in relazione alla popolazione del comune, non sembrano esistere ostacoli a introdurre, anche per comuni sino a 5.000 abitanti, categorie di utenza previste solo per i comuni al di sopra di tale livello laddove presenti sul territorio dell’ente, come ad es. cinematografi e teatri, ospedali, magazzini senza vendita diretta, insieme ai corrispondenti coefficienti di produttività.
Sembra altresì potersi ritenere che, nel caso di servizi gestiti a livello sovracomunale ed erogati in maniera omogenea, si possano applicare a tutti gli enti locali, anche se taluni di essi risultino inferiori a 5.000 abitanti, le categorie ed i coefficienti relativi ai comuni aventi popolazione maggiore di 5.000 abitanti.
La ripartizione dei costi tra le due macrocategorie di utenze deve avvenire, come prevede l’art. 4, comma 2, del D.P.R. n. 158 del 1999, secondo “criteri razionali” e assicurando comunque l’agevolazione prevista per le utenze domestiche (che si analizzerà più avanti). Il riferimento a “criteri razionali” implica:
a) la necessità di esplicitare il criterio utilizzato, con correlativa insufficienza di una ripartizione priva di motivazione o meramente apodittica;
b) la razionalità del criterio, che deve quindi fondarsi su fatti o situazioni effettivamente indicative della globale attitudine a produrre rifiuti delle due macrocategorie di utenza;
c) la possibile pluralità di sistemi di ripartizione, individuabili in maniera certamente discrezionale, ma non arbitraria.
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