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Galleggiamento. Assoluta infondatezza delle precisazioni fornite dal MEF con nota 10.1.2012 n. 0000191 in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 4, comma 26, della legge di stabilità 2012. Incostituzionalità della disposizione

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Messaggio  vito continella Ven 20 Gen 2012 - 7:16

Galleggiamento. Assoluta infondatezza delle precisazioni fornite dal MEF con nota 10.1.2012 n. 0000191 in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 4, comma 26, della legge di stabilità 2012. Incostituzionalità della disposizione.
di Carmelo Carlino e Vito Continella

La recente nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – IGOP - in data 10 gennaio 2012, prot. 0000191, fornisce le seguenti precisazioni in ordine alla disposizione legislativa in oggetto:
“la norma recata dall’art. 4, comma 26, della legge n. 183/2011 ha la funzione di mettere fine a ricorrenti distorsioni riscontrate nell’applicazione del c.d. “galleggiamento” (art. 41, comma 5, CCNL 16 maggio 2001) e rispecchia la posizione più volte espressa in passato dallo scrivente, in pieno accordo con l’Aran e con il Dipartimento della Funzione pubblica. La disposizione si caratterizza quindi per essere meramente interpretativa e non innovativa: di conseguenza – salvo la presenza di sentenze passate in giudicato – la norma non ha l’effetto di attribuire legittimità a comportamenti non corretti adottati in passato, né di giustificare il mancato recupero di quanto indebitamente erogato sulla base di applicazioni distorte della norma contrattuale du riferimento”.
Occorre, anzitutto, evidenziare che la posizione espressa in passato dal MEF, coincidente con gli orientamenti dell’ARAN e del Dipartimento della F.P., è stata bocciata ripetutamente dai giudici del lavoro , anche delle giurisdizioni superiori (sentenza della Corte di Appello di Firenze in data 8.11.2011).
Ci si chiede, allora, se era “distorta” l’applicazione del galleggiamento che era stata fatta dalla stragrande maggioranza degli enti locali (in sintonia con gli indirizzi espressi al riguardo dall’AGES, dalle OO.SS. e dall’ANCI) oppure l’interpretazione delle norme contrattuali (commi 4 e 5 dell’art. 41 del CCNL 16.5.2001) che era stata fornita dall’ARAN, dalla RGS e dalla F.P., bocciata dai giudici del lavoro.
La risposta è scontata.
Al riguardo, si ritiene opportuno ricordare che, pur accogliendo l’appello dell’Amministrazione Provinciale di Pistoia, avverso la sentenza in data 10 dicembre 2009 del Tribunale di Pistoia (che aveva accertato il diritto del segretario provinciale a che i maggiori compensi a titolo di retribuzione di posizione per gli incarichi aggiuntivi, ex art. 41, comma 4, del CCNL 16.5.2001, venissero conteggiati in esito all’allineamento della retribuzione medesima a quella del dirigente apicale, ai sensi del successivo comma 5), la Corte d’appello di Firenze, Sezione Lavoro, con sentenza in data 8 novembre 2011, ha stabilito alcuni importanti principi, che consolidano le tesi dell’AGES, delle OO.SS. e dell’ANCI, fatte già proprie dai giudici del lavoro (di Pistoia, La Spezia, Rimini, L’Aquila e Mantova), mentre confutano le argomentazioni dell’ARAN (condivise dal MEF - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, dal Dipartimento della F.P. e dal Tribunale di Milano).
Il predetto Collegio si è posto davanti alle 2 tesi contrastanti:
- quella del segretario provinciale, secondo cui (in linea con le posizioni dell’AGES, OO.SS. e ANCI), “nel calcolo della retribuzione di posizione, l’allineamento alla indennità percepita dal dirigente dell’Ente debba comunque rappresentare la base alla quale aggiungere la quota prevista dal CCNL attribuita per le funzioni ulteriori rispetto a quelle proprie del profilo professionale”;
- quella dell’Amministrazione Provinciale (ispirata alle posizioni dell’ARAN), la quale “sostiene che l’operazione di allineamento assorba i compensi per gli incarichi inferiori”; in sostanza, ritiene l’Amministrazione che “fatta 100 l’indennità base”, “150 quella del dirigente” e 30 la quota “corrisposta per gli incarichi ulteriori”, “l’operazione di allineamento assorba i compensi per incarichi inferiori e quindi il risultato finale non possa essere che 150” (applicando la similare tesi dell’ARAN, secondo cui si corrisponde al segretario la maggiorazione ex comma 4 integralmente – nel nostro caso 30 - ed un ulteriore importo a titolo di “galleggiamento” – nel nostro caso 20 - fino al raggiungimento della retribuzione di posizione dirigenziale più elevata nell’ente - e cioè 150, si perviene allo stesso risultato, ndr.).
Quindi, la Corte di Appello fiorentina ha primariamente respinto l’“argomento meramente formalistico” di parte datoriale, che ha rappresentato “la retribuzione di posizione incrementata dal compenso per gli incarichi speciali la <base> da adeguare” per l’allineamento all’indennità percepita dal dirigente maggiormente retribuito (che è la tesi dell’ARAN).
Dopodichè, lo stesso collegio ha ritenuto di non poter “dare applicazione alla regola invocata dal lavoratore”, sol perchè è mancata “la concreta dimostrazione di un pregiudizio concreto rapportato alla natura ed all’impegno dell’incarico aggiuntivo rispetto all’impegno dell’incarico” base”.
In sostanza, secondo il collegio, non è stata fornita “la prova su una circostanza determinante e cioè sul fatto che l’incarico aggiuntivo rappresenti ed abbia rappresentato un onere maggiore di quanto non lo sia in una diversa realtà dove l’incarico aggiuntivo non sia affidato. In difetto di tale specifica dimostrazione è escluso, infatti, che l’assorbimento abbia penalizzato il Segretario.
Il che vuol dire che, se il segretario avesse fornito la detta dimostrazione, la domanda avanzata in primo grado sarebbe stata accoglibile.
Ne deriva che l’interpretazione dei commi 4 e 5 dell’art. 41 del CCNL, secondo cui la retribuzione di posizione comprensiva del “galleggiamento” costituisce la “base” cui aggiungere la maggiorazione per incarichi aggiuntivi (tesi dell’AGES, OO.SS. e ANCI, fatta propria dai giudici del lavoro di Pistoia, La Spezia, Rimini, L’Aquila e Mantova), deve essere integrata (a seguito della sentenza della Corte di Appello di Firenze) con l’ovvia precisazione (che era comunque già sottintesa) che le funzioni aggiuntive devono effettivamente rappresentare un onere maggiore di quanto non lo siano in una diversa realtà dove le stesse funzioni (aggiuntive) non siano affidate; in caso contrario, tale meccanismo non può funzionare.
Si può, pertanto, affermare pacificamente che sul punto si è venuto a consolidare un indirizzo giurisprudenziale (come ammesso, già prima del pronunciamento del giudice d’appello fiorentino, dallo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria dello Stato - Ispettorato Generale di Finanza – Servizi Ispettivi di Finanza Pubblica, con nota del 20 luglio 2011 prot. n. 0082264, a conclusione dell’istruttoria della verifica ispettiva effettuata presso un Comune della Provincia di Roma), che trova la massima espressione proprio nella sentenza della Corte di Appello di Firenze, che costituisce autorevolissimo precedente; e la produzione giurisprudenziale, soprattutto nel caso in cui l’interpretazione si venga a consolidare in indirizzi ben precisi e costanti, diventa “diritto vivente”.
Vengono citate a tal proposito, come pietre miliari, le sentenze n. 95 del 1976 e n. 34 del 1977 della Corte costituzionale, secondo le quali “le norme vivono nell’ordinamento nel contenuto risultante dall’applicazione fattane dal giudice”.
Da ciò deriva che la nuova disposizione (in vigore dall’1.1.2012), dettata dall’art. 4, comma 26, della L. 12.11.2011 n. 183 (“Il meccanismo di allineamento stipendiale previsto dall’art. 41, comma 5, del CCNL dei Segretari comunali e provinciali del 16.5.2001, per il quadriennio normativo 1998/2001 e per il biennio economico 1998-1999, si applica alla retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione di cui al comma 4. A far data dall’entrata in vigore della presente norma è fatto divieto di corrispondere somme in applicazione dell’art.41, comma 5, del CCNL 16.5.2001 diversamente conteggiate, anche se riferite a periodi già trascorsi. E’ fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge”), assume un carattere fortemente innovativo , contrariariamente a quanto affermato dal MEF (Dipartimento della RGS/IGOP) con le “precisazioni” di cui alla citata nota in data 10 gennaio 2012, prot. 0000191.
Infatti, con decorrenza dal 1° gennaio 2012:
 cambiano le modalità di calcolo del “galleggiamento” (previsto dall’art. 41, comma 5, del CCNL) e della maggiorazione per incarichi aggiuntivi (di cui al comma 4 dello stesso articolo), applicandosi il meccanismo di allineamento stipendiale sulla retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione per incarichi aggiuntivi;
 è fatto divieto di corrispondere somme in applicazione dell’art. 41, comma 5, del CCNL 16.5.2001 diversamente conteggiate, anche se riferite a periodi già trascorsi;
 viene fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della legge (in tal caso, cioè, il pagamento delle predette somme conteggiate diversamente e riferite a periodi già trascorsi può avvenire anche dopo il 31.12.2011).
Conseguentemente:
a) fino al 31.12.2011, la retribuzione di posizione comprensiva del “galleggiamento” costituiva (secondo il “diritto vivente”) la “base” cui aggiungere la maggiorazione per incarichi aggiuntivi, sempre che l’incarico aggiuntivo rappresentasse un onere maggiore di quanto non lo fosse in una diversa realtà dove l’incarico aggiuntivo non fosse affidato;
b) con effetto dall’1.1.2012, invece, per determinare il “galleggiamento” si prende a base la “retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione di cui al comma 4” (con tutti i problemi di legittimità costituzionale che l’art. 4, comma 26, della L. n.183/11 presenta, come verrà evidenziato più avanti).
Ne discende (in difformità da quanto sostenuto dal MEF - Dipartimento della RGS/IGOP - con la citata nota in data 10 gennaio 2012, prot. 0000191) che:
a) le somme corrisposte (e cioè pagate) fino al 31.12.2011 per il detto titolo (galleggiamento e maggiorazione per incarichi aggiuntivi) e conteggiate secondo la giurisprudenza dei giudici del lavoro sono pienamente legittime;
b) le eventuali azioni di recupero sono totalmente arbitrarie.
Risulta, pertanto, priva di ogni fondamento giuridico, l’affermazione del MEF (contenuta nella stessa nota in data 10 gennaio 2012, prot. 0000191) secondo cui la disposizione dettata dall’art. 4, comma 26, della legge di stabilità 2012 è “meramente interpretativa”.
Trattasi soltanto di un tentativo di attribuire un carattere retroattivo alla nuova disposizione legislativa per “salvare” la tesi pervicacemente sostenuta in precedenza (per ragioni solo di ordine economico), inesorabilmente bocciata dai giudici del lavoro, anche delle giurisdizioni superiori, che hanno giudicato solo in base alla legge, come prescritto dall’art. 101 della Costituzione.
Il MEF, infatti, sa benissimo che l’unico tipo di interpretazione avente efficacia retroattiva è quella “autentica”, che però proviene dalla stessa fonte (o fonte equiparata) che ha emesso la disposizione da interpretare.
Nel nostro caso, la fonte che ha emanato la disposizione in esame è il contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali del 16.5.2001 e, pertanto, l’interpretazione autentica deve seguire la procedura prevista dall’art. 49 del D.lgs. n. 165/2001, secondo cui: “1. Quando insorgano controversie sull'interpretazione dei contratti collettivi, le parti che li hanno sottoscritti si incontrano per definire consensualmente il significato delle clausole controverse. 2. L'eventuale accordo di interpretazione autentica, stipulato con le procedure di cui all'articolo 47, sostituisce la clausola in questione sin dall'inizio della vigenza del contratto. Qualora tale accordo non comporti oneri aggiuntivi e non vi sia divergenza sulla valutazione degli stessi, il parere del Presidente del Consiglio dei Ministri è espresso tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze”.
Ne deriva che l’art. 4, comma 26, della legge di stabilità 2012 ha carattere non di interpretazione autentica (con efficacia retroattiva) ma innovativo, disponendo soltanto per l’avvenire, ai sensi dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, secondo cui “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Ciò trova conferma:
a) nel fatto che la disposizione non sancisce espressamente la propria retroattività (com’è invece avvenuto per altre disposizioni – segnatamente per l’art. 33, commi 7, 9, 29, 31, 35 e 36 - della stessa legge n. 183/2011), sicchè trova applicazione il brocardo latino: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit;
b) nella stessa lettera della disposizione, laddove anzi è stabilito, al secondo periodo, che soltanto “a far data dall’entrata in vigore della presente norma è fatto divieto di corrispondere somme in applicazione dell’art. 41, comma 5, del CCNL 16.5.2001 diversamente conteggiate, anche se riferite a periodi già trascorsi”.
Oltretutto, se il legislatore avesse previsto (ma non lo ha previsto) la retroattività della norma (pur non trattandosi di interpretazione autentica), la disposizione sarebbe stata affetta da un evidente vizio di legittimità costituzionale (eccesso di potere legislativo), rappresentato dalla violazione del principio costituzionale di “affidabilità”, consistente nel principio che, come regola generale, il singolo deve poter conoscere lo stato del diritto in base al quale opera e tale stato del diritto non deve poi essere modificato con effetti retroattivi.
Ebbene, lo “stato del diritto” (vigente fino al 31.12.2011) è proprio quello che si è formato attraverso l’interpretazione dei commi 4 e 5 dell’art. 41 del CCNL che è stata fatta dai giudici del lavoro con le sentenze sopra richiamate, tra le quali quella recentissima della Corte di Appello di Firenze in data 8.11.2011, che costituisce autorevolissimo precedente.
Da quanto sopra esposto, in merito alla giurisprudenza formatasi sul punto e all’irretroattività dell’art. 4, comma 26, della L. 12.11.2011 n. 183, discende, come sopra detto, che le erogazioni di somme fino al 31.12.2011, in attuazione dei commi 4 e 5 dell’art. 41 del CCNL 16.5.2001, considerando la retribuzione di posizione comprensiva del “galleggiamento” la “base” cui aggiungere la maggiorazione per incarichi aggiuntivi (sempre che l’incarico aggiuntivo, come stabilito dalla Corte d’Appello di Firenze, abbia rappresentato un onere maggiore di quanto non lo sia stato in una diversa realtà dove l’incarico aggiuntivo non sia stato affidato), sono pienamente legittime e le eventuali azioni di recupero assolutamente arbitrarie.
Viceversa, le somme (conteggiate secondo il consolidato orientamento dei giudici del lavoro), dovute fino al 31.12.2011 e non corrisposte entro tale data, non potranno più essere pagate a partire dall’1.1.2012, stante il divieto di cui al secondo periodo del comma 26 dell’art. 4 della L. 183/2011, esteso anche alle somme “riferite a periodi già trascorsi”.
Quest’ultimo inciso è stato inserito perché altrimenti il pagamento, anche dopo l’entrata in vigore della legge, delle dette somme (relative a periodi anteriori all’1.1.2012) difformemente calcolate sarebbe stato pienamente legittimo, alla luce del “stato del diritto” vigente fino al 31.12.2011.
Aggiungasi che il legislatore, nel tentativo di ribaltare il contenzioso che vedeva le amministrazioni soccombere sistematicamente, ha emanato una disposizione (quella in esame) sulla cui tenuta costituzionale si nutrono fortissimi dubbi.
In base anche agli articoli recentemente pubblicati sull’argomento , possono ipotizzarsi ben 8 vizi di legittimità costituzionale inficianti la disposizione in commento.
1) Violazione del principio di giusta ed equa retribuzione ex art. 36 della Costituzione.
Infatti, la violazione della detta norma costituzionale (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro…”) appare manifesta, atteso che in tutte e tre le situazioni in cui possono venire a trovarsi gli Enti locali (che abbiano attribuito al segretario funzioni aggiuntive ed abbiano in servizio dirigenti, di cui almeno uno beneficiario di una retribuzione di posizione più elevata rispetto a quella base spettante al segretario medesimo) si ottengono effetti contrastanti con il principio costituzionale della giusta ed equa retribuzione.
1^ ipotesi: il Segretario, a seguito di incarichi aggiuntivi, fruisce della maggiorazione ex comma 4 dell’art. 41 del CCNL 16.5.2001; tuttavia, sommando alla retribuzione di posizione base dello stesso segretario tale maggiorazione, si ottiene una retribuzione di posizione complessiva che è comunque inferiore a quella percepita dal dirigente maggiormente retribuito.
In tale ipotesi (secondo la nuova disposizione legislativa) si corrisponde al segretario la maggiorazione ex comma 4 integralmente ed un ulteriore importo (a titolo di “galleggiamento”) fino al raggiungimento della retribuzione di posizione dirigenziale più elevata nell’ente.
Paradossalmente, gli incarichi aggiuntivi vengono formalmente retribuiti, ma il segretario, anche senza incarichi aggiuntivi, avrebbe raggiunto ugualmente, in virtù del “galleggiamento”, quel tetto retributivo (rappresentato dalla retribuzione di posizione del dirigente più pagato); in pratica, è come se le funzioni aggiuntive non gli venissero remunerate, con conseguente violazione dell’art. 36 della Costituzione.
2^ ipotesi: il Segretario, a seguito di incarichi aggiuntivi, fruisce della maggiorazione ex comma 4, ricevendo una retribuzione di posizione complessiva che è pari a quella percepita dal dirigente più pagato.
Secondo la nuova disposizione legislativa, il segretario percepisce integralmente la maggiorazione ex comma 4 e nulla a titolo di “galleggiamento”; pure qui le funzioni aggiuntive solo formalmente vengono remunerate, perchè anche senza incarichi aggiuntivi il Segretario avrebbe raggiunto, in forza del “galleggiamento”, quel tetto retributivo. Nella sostanza, come nell’ipotesi precedente, le funzioni “aggiuntive” non vengono retribuite, in violazione dell’art. 36 della Costituzione.
3^ ipotesi: il Segretario, a seguito di incarichi aggiuntivi, fruisce della maggiorazione ex comma 4 dell’art. 41 del CCNL, ricevendo una retribuzione di posizione complessiva che è superiore a quella percepita dal dirigente maggiormente retribuito.
Secondo la nuova disposizione legislativa, il “galleggiamento” non opera, dovendosi applicare prima la maggiorazione ex comma 4 e solo successivamente (se ed in quanto la retribuzione di posizione complessiva risulti inferiore a quella del dirigente maggiormente retribuito) la “parificazione” ex comma 5. Pertanto, le funzioni aggiuntive formalmente verrebbero retribuite, ma nella sostanza le cose stanno in termini diversi.
Infatti, senza quegli incarichi aggiuntivi, il Segretario “galleggerebbe” comunque fino ad un certo importo (quello del dirigente maggiormente retribuito); perciò, è come se le funzioni aggiuntive gli venissero retribuite non integralmente ma per differenza (tra l’ammontare della maggiorazione ex comma 4 attribuitagli ed il “galleggiamento” ex comma 5, che avrebbe comunque percepito anche senza gli incarichi aggiuntivi), con violazione del canone costituzionale della giusta ed equa retribuzione.
2) Violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione, trattando in maniera uguale situazioni disuguali;
Si consideri, infatti, l’ipotesi in cui un segretario comunale percepisca 40 come retribuzione di posizione, ed uno dei suoi dirigenti (il più pagato) percepisca invece 80.
In tal caso il Segretario (in applicazione della nuova disposizione legislativa) potrà ottenere ulteriori 20 (50% della posizione) come aumento della posizione ai sensi ex comma 4 dell’art. 41 del CCNL e del “decentrato” del 2003 (arrivando così a 60) e potrà coprire la residua differenza applicando il “galleggiamento” (per una somma pari a 20).
Supponiamo che quel segretario cessi dal servizio e venga sostituito da un collega al quale l’Amministrazione non attribuisce compiti aggiuntivi.
Al nuovo segretario non spetta alcuna maggiorazione, ai sensi del comma 4 dell’art. 41 del CCNL e del “decentrato” del 22.12.2003.
Tuttavia, egli ottiene un aumento della retribuzione di posizione, in virtù del “galleggiamento” (ex comma 5 dello stesso art. 41 del CCNL), che gli consente di raggiungere ugualmente 80.
Con la conseguenza che i due segretari sono pagati in identica misura (ma il primo svolge più compiti e assume maggiori responsabilità) contro i più elementari principi di eguaglianza sostanziale.
3) Violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione, come divieto di trattamenti normativi mossi da una ragione concreta.
Infatti, la nuova disposizione legislativa, che dovrebbe avere un carattere generale ed astratto, è rivolta invece ad interferire con concreti processi in corso, come si desume chiaramente dalla “relazione tecnica” allegata al ddl. di stabilità 2012 (ove è scritto che “a seguito dell’instaurarsi di una significativa mole di contenzioso, la giurisprudenza di merito, in primo grado, si sta orientando su posizioni interpretative in contrasto con quanto sostenuto – in accordo con l’Aran e con il dipartimento della Funzione pubblica – dallo scrivente - Ministero dell’Economia e Finanze, ndr. -: da ciò effetti onerosi per i bilanci degli enti e quindi per la finanza pubblica. Alla luce del quadro delineato, appare necessario un intervento, il quale…….ponga un argine agli effetti negativi, in termini retributivi, delle sentenze finora emanate…”).
Trattasi, pertanto, di una legge che devia dal suo fine (eccesso di potere legislativo), violando il principio di uguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.), come divieto di trattamenti normativi indotti da una ragione concreta.
4) Violazione del principio di autonomia della contrattazione collettiva ex art. 39 della Costituzione, non limitandosi il legislatore ad un intervento di quadro, ma alterando i processi di relazione sindacale.
Vero è, infatti, che legge e contratto collettivo di lavoro possono concorrere sulla stessa materia e che la prima prevale sul secondo; ma i compiti della legge sono istituzionalmente diversi, poiché la legge ha una funzione specifica, che la abilita solo ad un intervento di quadro della contrattazione, non certo per alterare la contrattazione stessa a favore di una parte e a danno dell’altra, com’è avvenuto nel caso in esame.
Anche un obiettivo di politica economica generale può richiedere misure puntuali che non cessano per questo di assumere il valore di quadro dell’attività contrattuale (qualcosa di analogo può avvenire con le norme di principio previste nell’art. 117, comma 3, della Costituzione).
Ciò che deve ritenersi eccedente il potere del legislatore è il suo intervento come se fosse una parte della contrattazione, al di fuori di un disegno politico-legislativo di portata generale secondo l’art. 41 co. 3 Cost. e con effetti tali da alterare l’autonomia dei processi di relazione sindacale.
5) Violazione dell’art. 39 della Costituzione, in quanto il legislatore (lungi dall’avere realizzato un intervento eccezionale, transeunte e limitato nel tempo) ha legificato, e con carattere di stabilità, su di una materia riservata alle parti negoziali, ledendo in tal modo l’autonomia della contrattazione collettiva, unica abilitata nel nostro ordinamento a determinare il valore delle tariffe salariali
Effetto tanto più dirompente in considerazione dell’avvenuta riformulazione, ad opera della L. 150/2009, del testo dell’art. 2, D.Lgs. n. 165/2001, per effetto del quale risulta oggi precluso alle parti negoziali di introdurre clausole derogatorie alle disposizioni di legge.
6) Violazione del principio di autonomia della funzione giurisdizionale ex art.101 della Costituzione, interferendo il legislatore con concreti processi in corso
La nuova disposizione legislativa, essendo rivolta (come sopra evidenziato) ad interferire con concreti processi in corso (come si desume chiaramente dalla “relazione tecnica” allegata al ddl. di stabilità 2012), devia dal suo fine (eccesso di potere legislativo), violando, appunto, il principio di autonomia della funzione giurisdizionale (art. 101 Cost.).
Ne consegue che, per tutti i giudizi in corso alla data dell’entrata in vigore della nuova disposizione (1.1.2012), potrebbe essere dichiarata la cessazione della materia del contendere per difetto dell’interesse ad agire in capo al ricorrente, ostando al pagamento delle somme eventualmente dovute (in applicazione dei meccanismi di calcolo vigenti fino al 31.12.2011) il divieto di cui al secondo periodo della stessa disposizione.
7) Violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, secondo cui la potestà legislativa è esercitata dallo Stato….nel rispetto…….dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Il legislatore ha di fatto sacrificato, vulnerandoli irrimediabilmente, diritti quesiti già entrati a far parte del patrimonio dei pubblici dipendenti.
Al riguardo le Convenzioni internazionali, all’art. 1 (Protezione della proprietà) del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, prevedono che “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
Per pacifica giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, ad onta del riferimento letterale al solo diritto di proprietà, la disposizione appare invocabile per tutelare qualunque diritto di natura patrimoniale, sia esso reale o di credito.
Secondo la Corte di Strasburgo per dimostrare l’avvenuta lesione del Protocollo è sufficiente che la parte dimostri di essere titolare del credito in base al diritto interno.
Nel caso che ci occupa, la titolarità del diritto alla maggiorazione pare agevolmente dimostrabile sulla scorta della piana interpretazione delle disposizioni contrattuali previgenti e del diritto vivente costituito dalla consolidata giurisprudenza formatasi sul tema (sentenze della Corte di Appello di Firenze in data 8.11.2011 e dei Tribunali di Pistoia n. 459/09 e n. 98/10, di La Spezia n. 654/10, dell’Aquila n. 164/11, di Rimini n. 246/10 e di Mantova n. 96/11).
Cool Violazione degli artt. 24 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo con riferimento all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU).
Il legislatore (come chiaramente affermato nella citata “relazione tecnica” allegata al ddl. di stabilità 2012) è appositamente intervenuto con lo strumento della norma generale ed astratta per ribaltare un contenzioso che lo vedeva soccombere sistematicamente.
Al riguardo, è stato recentemente affermato che “il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo sancito dall’art. 6 (delle norme di attuazione della Convenzione EDU, ndr.) ostano, salvo che per ragioni imperative di interesse generale, all’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia” (cfr. Corte di Strasburgo, sentenza in data 7 giugno 2011, Agrati e altri c. Italia, ricorsi n. 43549/08, 6107/09 e 5087/09).
Si è certi, pertanto, che i segretari interessati si attiveranno (sia nei giudizi in corso alla data del 31.12.2011 sia in quelli che verranno promossi dopo tale data) per sollecitare la remissione alla Consulta delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 26, della L. 12.11.2011 n. 183.

vito continella

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Galleggiamento. Assoluta infondatezza delle precisazioni fornite dal MEF con nota 10.1.2012 n. 0000191 in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 4, comma 26, della legge di stabilità 2012. Incostituzionalità della disposizione Empty Galleggiamento

Messaggio  Paolo Gros Dom 22 Gen 2012 - 0:57

Ogni considerazione giuridica e contrattuale che si possa esprimere a riguardo coorrerebbe a mio avviso applicare la logica ed il buion senso che spesso mi pare dimenticato.
Si dovrebbe procedere per step ovvero:
se in un ente la posizione massima e' x al segretario compete nel primo step il cd galleggiamento in quanto equipara la posizione piu' elevata alla propria posizione.
In tal senso il segretario viene nella propria posizione equiparato alla posizione piu' elevata dell'ente.
Detto questo si ha , qualora al segretario vengano assegnati compiti aggiuntivi alla sua posizione equiparata ( galleggiata) , un maggiorazione della posizione in godimento e spettante ovvero propria posizione contrattuale e galleggiamento e su tale base contabile si applica l'auemnto dal 10 al 50%.
La logica dice: prima equiparo la posizione e se poi aggiungo compiti la maggioro.

Tutto il resto , Rgs,Aran, corti etc etc etc possono sicuramente argomentare a contrario ma ripeto manca il principio applicativo della logica e mi si permetta ...del buon senso.
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Messaggio  francodan Lun 23 Gen 2012 - 1:04

purtroppo ci sono anche ben altre problematiche dei segretari aggiuntive e di importanza maggiore rispetto a quella tenacemente portata avanti da alcuni colleghi e dal sindacato più rappresentativo...analoga tenacia non ho visto ad esempio nel sostenere i diversi colleghi oggetto di spoil sistem spesso immotivato....e del pari sulle ripercussioni delle gestioni associate sul ruolo e sulle sedi di segreteria....
a mio parere la problematica del galleggiamento è la conseguenza di un contratto non chiaro e del mancato riconoscimento chiaro ed espresso quantitativo (e non rimesso alle determinazioni interpretative)che il segretario ,in quanto comunque massimo vertice di un comune, deve avere un trattamento economico almeno apri a quelo del massimo dirigente
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