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sul galleggiamento nota da segretari enti locali

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Messaggio  francodan Ven 10 Feb 2012 - 3:55

Legge di stabilità e galleggiamento. Articolo dell’ARAN. Interpretazione erronea, contraddittoria ed incostituzionale.
di C. Carlino e V. Continella
Il recente articolo, pubblicato dall’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni su ARAN Informa n. 1/12, tenta di andare in soccorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – IGOP, che con nota 0000191 in data 10 gennaio 2012 (della cui totale infondatezza abbiamo trattato in un nostro precedente articolo1, pubblicato su questo stesso sito ed al quale facciamo rinvio) aveva precisato che la disposizione dettata dall’art. 4, comma 26, della legge n. 183/2011:
a)
ha la funzione di mettere fine a ricorrenti distorsioni riscontrate nell’applicazione del c.d. “galleggiamento” (art. 41, comma 5, CCNL 16 maggio 2001) e rispecchia la posizione più volte espressa in passato dallo scrivente, in pieno accordo con l’Aran e con il Dipartimento della Funzione pubblica;
b)
si caratterizza quindi per essere meramente interpretativa e non innovativa;
c)
non ha l’effetto di attribuire legittimità a comportamenti non corretti adottati in passato, né di giustificare il mancato recupero di quanto indebitamente erogato sulla base di applicazioni distorte della norma contrattuale di riferimento”.
Nel compiere tale tentativo (malriuscito), l’articolo ARAN incorre anzitutto in una prima “svista” (della seconda diremo più avanti), sostenendo (testualmente) che “a favore della tesi datoriale…si sono espressi il Tribunale di Milano…e, da ultimo, la sentenza della Corte di Appello di Firenze dell’8.11.2011.”.
Come abbiamo già evidenziato nel suddetto nostro articolo, pur accogliendo l’appello dell’Amministrazione Provinciale di Pistoia, avverso la sentenza in data 10 dicembre 2009 del Tribunale di Pistoia (che aveva accertato il diritto del segretario provinciale a che i maggiori compensi a titolo di retribuzione di posizione per gli incarichi aggiuntivi, ex art. 41, comma 4, del CCNL 16.5.2001, venissero conteggiati in esito all’allineamento della retribuzione medesima a quella del dirigente apicale, ai sensi del successivo comma 5), la Corte d’appello di Firenze, Sezione Lavoro, con sentenza in data 8 novembre 2011, ha stabilito alcuni importanti principi, che consolidano le tesi dell’AGES, delle OO.SS. e dell’ANCI, fatte già proprie dai giudici del lavoro (di Pistoia, La Spezia, Rimini, L’Aquila e Mantova), mentre confutano le argomentazioni dell’ARAN (condivise dal MEF - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, dal Dipartimento della F.P. e dal Tribunale di Milano).
Il predetto Collegio si è posto, infatti, davanti alle 2 tesi contrastanti:
- quella del segretario provinciale, secondo cui (in linea con le posizioni dell’AGES, OO.SS. e ANCI), “nel calcolo della retribuzione di posizione, l’allineamento alla indennità percepita dal dirigente dell’Ente debba comunque rappresentare la base alla quale aggiungere la quota prevista dal CCNL attribuita per le funzioni ulteriori rispetto a quelle proprie del profilo professionale”;
- quella dell’Amministrazione Provinciale (ispirata alle posizioni dell’ARAN), la quale “sostiene che l’operazione di allineamento assorba i compensi per gli incarichi inferiori”; in sostanza, ritiene l’Amministrazione che “fatta 100 l’indennità base”, “150 quella del dirigente” e 30 la quota “corrisposta per gli incarichi ulteriori”, “l’operazione di allineamento assorba i compensi per incarichi inferiori e quindi il risultato finale non possa essere che 150” (applicando la similare tesi dell’ARAN, secondo cui si corrisponde al segretario la maggiorazione ex comma 4 integralmente – nel nostro caso 30 - ed un ulteriore importo a titolo di “galleggiamento” – nel nostro caso 20 - fino
1 C. Carlino e V. Continella “Galleggiamento. Assoluta infondatezza delle precisazioni fornite dal MEF con nota 10.1.2012 n. 0000191 in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 4, comma 26, della legge di stabilità 2012. Incostituzionalità della disposizione,reperibile sul sito internet, dell’Unione Nazionale dei Segretari Comunali e Provinciali, all’indirizzo www.segretarientilocali.it/ Unione/ A2012/ CarlinoContinella11012012.pdf
1
al raggiungimento della retribuzione di posizione dirigenziale più elevata nell’ente - e cioè 150, si perviene allo stesso risultato, ndr.).
Quindi, la Corte di Appello fiorentina ha primariamente respinto l’“argomento meramente formalistico” di parte datoriale, che ha rappresentato “la retribuzione di posizione incrementata dal compenso per gli incarichi speciali la <base> da adeguare” per l’allineamento all’indennità percepita dal dirigente maggiormente retribuito (che è la tesi dell’ARAN).
Dopodichè, lo stesso collegio ha ritenuto di non poter “dare applicazione alla regola invocata dal lavoratore”, sol perchè è mancata “la concreta dimostrazione di un pregiudizio concreto rapportato alla natura ed all’impegno dell’incarico aggiuntivo rispetto all’impegno dell’incarico” base”.
In sostanza, secondo il collegio, non è stata fornita “la prova su una circostanza determinante e cioè sul fatto che l’incarico aggiuntivo rappresenti ed abbia rappresentato un onere maggiore di quanto non lo sia in una diversa realtà dove l’incarico aggiuntivo non sia affidato. In difetto di tale specifica dimostrazione è escluso, infatti, che l’assorbimento abbia penalizzato il Segretario.
Il che vuol dire che, se il segretario avesse fornito la detta dimostrazione, la domanda avanzata in primo grado sarebbe stata accoglibile.
Ne deriva che l’interpretazione dei commi 4 e 5 dell’art. 41 del CCNL, secondo cui la retribuzione di posizione comprensiva del “galleggiamento” costituisce la “base” cui aggiungere la maggiorazione per incarichi aggiuntivi (tesi dell’AGES, OO.SS. e ANCI, fatta propria dai giudici del lavoro di Pistoia, La Spezia, Rimini, L’Aquila e Mantova), deve essere integrata (a seguito della sentenza della Corte di Appello di Firenze) con l’ovvia precisazione (che era comunque già sottintesa) che le funzioni aggiuntive devono effettivamente rappresentare un onere maggiore di quanto non lo siano in una diversa realtà dove le stesse funzioni (aggiuntive) non siano affidate; in caso contrario, tale meccanismo non può funzionare.
Se, perciò, si attribuisce alla citata pronunzia della Corte di Appello di Firenze il corretto significato (e non quello erroneo dato nell’articolo ARAN), si può affermare pacificamente che sul punto si è venuto a consolidare un indirizzo giurisprudenziale, che trova la massima espressione proprio nella detta sentenza, la quale costituisce autorevolissimo precedente; e la produzione giurisprudenziale, soprattutto nel caso in cui l’interpretazione si venga a consolidare in indirizzi ben precisi e costanti, diventa “diritto vivente”.
Vengono citate a tal proposito, come pietre miliari, le sentenze n. 95 del 1976 e n. 34 del 1977 della Corte costituzionale, secondo cui “le norme vivono nell’ordinamento nel contenuto risultante dall’applicazione fattane dal giudice”.
Da ciò deriva che la nuova disposizione (“Il meccanismo di allineamento stipendiale previsto dall’art. 41, comma 5, del CCNL dei Segretari comunali e provinciali del 16.5.2001, per il quadriennio normativo 1998/2001 e per il biennio economico 1998-1999, si applica alla retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione di cui al comma 4. A far data dall’entrata in vigore della presente norma è fatto divieto di corrispondere somme in applicazione dell’art.41, comma 5, del CCNL 16.5.2001 diversamente conteggiate, anche se riferite a periodi già trascorsi. E’ fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge”), in vigore dall’1.1.2012, assume un carattere fortemente innovativo (rispetto al “diritto vivente”).
Infatti, con decorrenza dal 1° gennaio 2012 viene introdotta una norma imperativa, secondo cui il “galleggiamento” si applica (in difformità da quanto stabilito dal citato CCNL, come interpretato dalla giurisprudenza consolidata dei giudici del lavoro) sulla retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione per incarichi aggiuntivi, con il (conseguente) divieto di corrispondere, a partire dalla detta data (il che vuol dire che prima dell’1.1.2012 tale divieto non operava), somme in applicazione dell’art. 41, comma 5, del CCNL 16.5.2001, diversamente conteggiate, “anche se riferite a periodi già trascorsi” (questo inciso è stato inserito dal legislatore perché altrimenti il pagamento, anche dopo l’entrata in vigore della
2
legge, delle dette somme - relative a periodi anteriori all’1.1.2012 – sarebbe stato pienamente legittimo).
Conseguentemente:
a) fino al 31.12.2011, la retribuzione di posizione comprensiva del “galleggiamento”costituiva (secondo il “diritto vivente”) la “base” cui aggiungere la maggiorazione per incarichi aggiuntivi;
b) con effetto dall’1.1.2012, invece, per determinare il “galleggiamento” si prende a base la “retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l’eventuale maggiorazione di cui al comma 4”.
Ne discende che:
a) le somme corrisposte (e cioè pagate) fino al 31.12.2011 per il detto titolo (galleggiamento e maggiorazione per incarichi aggiuntivi) e conteggiate secondo la giurisprudenza consolidata dei giudici del lavoro sono pienamente legittime;
b) le eventuali azioni di recupero sono totalmente arbitrarie.
Viceversa, l’articolo ARAN sostiene:
- da un lato, che la disposizione dettata dall’art. 4, comma 26, della legge di stabilità 2012 è “una sorta di interpretazione autentica delle disposizioni contrattuali” nel senso che “la legge interpreta il CCNL in luogo dell’attivazione della specifica procedura negoziale specificamente prevista, con tale finalità, dall’art. 49 del d.lgs. n.165/2001 (qui sta il soccorso al MEF, che aveva affermato la natura “meramente interpretativa” della detta disposizione, ndr.);
- dall’altro, che “la disciplina contrattuale……. può essere applicata solo nel rispetto dei vincoli e delle modalità stabilite direttamente e precisamente dal legislatore”.
L’articolo ARAN si affanna, poi, a spiegare (ribadendo la vecchia tesi della stessa ARAN, incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 36 Cost. e confutata dalla giurisprudenza consolidata) “le ragioni giustificative di tale particolare, innovativa e decisamente forte opzione del legislatore”.
Qui c’è il massimo della contraddizione, asserendosi contemporaneamente che la nuova disposizione:
a) è “interpretativa”;
b) introduce direttamente “vincoli e modalità” ed è “innovativa” (questa seconda affermazione è corretta perché la legge integra la disposizione contrattuale e non può perciò essere interpretativa, ma è contraddittoria rispetto all’asserzione sub “a” e contrasta palesemente con quanto affermato dal MEF, che esclude invece l’innovatività).
Per inciso, si rileva che nel sostenere la vecchia tesi dell’ARAN (prima si applica la maggiorazione e poi il galleggiamento), l’articolo ARAN incorre in seconda “svista”, affermando (attraverso il richiamo alla reiezione, da parte del Dipartimento della F.P., della richiesta di avvio della procedura di interpretazione autentica delle disposizioni di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 41 del CCNL del 16.5.2001, avanzata dall’AGES e da un’organizzazione sindacale) che da parte della complessiva Parte Pubblica “e quindi sostanzialmente anche per l’Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali non sussisteva alcun dubbio interpretativo sulla portata delle clausole contrattuali” (e, cioè, sulla posizione dell’ARAN confutata dai giudici del lavoro, ndr.).
E’ sufficiente, al riguardo, prendere visione della nota dell’AGES in data 20.10.2008 n. 0086434, indirizzata proprio all’ARAN, in cui si afferma l’esatto contrario: “preme, anzitutto, richiamare la posizione dell’Agenzia (così come manifestata in alcune risposte a quesiti) per cui l’istituto del “galleggiamento”(art. 41 co. 5 CCNL 16.5.2001) e quello della maggiorazione della retribuzione di posizione (art. 41 co. 4 CCNL 16.5.2001) possono coesistere in quanto su presupposti diversi, quali, nel primo caso, la più elevata retribuzione di posizione di un dirigente all’interno dell’ente e, nel secondo caso, l’affidamento di incarichi ulteriori e aggiuntivi di cui allegato A dell’accordo del 22.12.2003. D’altra parte anche il contratto decentrato del 22.12.2003, nel determinare i criteri della maggiorazione, fa riferimento alla retribuzione di posizione in
3
godimento e quindi all’importo complessivamente corrisposto”.
Ora, difendere le proprie posizioni è un conto, alterare la realtà è un altro!
In effetti, quello dell’ARAN (come quello del MEF) rappresenta soltanto un vano tentativo di attribuire un carattere retroattivo alla nuova disposizione legislativa per “salvare” la tesi pervicacemente sostenuta in precedenza (per mere ragioni di ordine finanziario), inesorabilmente bocciata dai giudici del lavoro (anche delle giurisdizioni superiori) che hanno giudicato solo in base alla legge, come prescritto dall’art. 101 della Costituzione (interpretando i commi 4 e 5 dell’art. 41 del CCNL secondo i criteri ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 ss. del codice civile ed in senso costituzionalmente orientato).
Infatti, l’unico tipo di interpretazione avente efficacia retroattiva è quella “autentica”, che però proviene dalla stessa fonte (o fonte equiparata) che ha emesso la disposizione da interpretare.
Nel nostro caso, la fonte che ha emanato la disposizione in esame è il contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali del 16.5.2001 e, pertanto, l’interpretazione autentica spetta alle parti che hanno sottoscritto il medesimo contratto, seguendo la procedura (fino a quando il legislatore non ne individuerà un’altra) prevista dall’art. 49 del D.lgs. n. 165/2001.
Certo, il legislatore può intervenire nell’ambito della disciplina del rapporto di lavoro, ponendo nuovi divieti e vincoli (come ha fatto nel caso in questione) che trovano applicazione dalla data di entrata in vigore della legge che li prevede (nel nostro caso dall’1.1.2012), ma giammai può fornire (come pretenderebbero il MEF e l’ARAN) un’interpretazione “autentica” di un contratto collettivo (avente natura privatistica), sostituendo la propria volontà a quella delle parti, pena la violazione del principio di autonomia della contrattazione collettiva, che trova fondamento nell’art. 39 della Costituzione.
Ne deriva che l’art. 4, comma 26, della legge di stabilità 2012 ha carattere non interpretativo ma innovativo (e, perciò, non retroattivo), disponendo soltanto per l’avvenire, ai sensi dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, secondo cui “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Ciò trova ulteriore conferma:
- nel fatto che la disposizione non sancisce espressamente la propria retroattività (com’è invece avvenuto per altre disposizioni – segnatamente per l’art. 33, commi 7, 9, 29, 31, 35 e 36 - della stessa legge n. 183/2011), sicchè trova applicazione il brocardo latino: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit;
- nella stessa lettera della disposizione, laddove anzi è stabilito, al secondo periodo, che soltanto “a far data dall’entrata in vigore della presente norma è fatto divieto di corrispondere somme in applicazione dell’art. 41, comma 5, del CCNL 16.5.2001 diversamente conteggiate, anche se riferite a periodi già trascorsi”.
Peraltro, se il legislatore avesse previsto (ma non lo ha previsto, anzi ha stabilito il contrario) la retroattività della norma (pur non trattandosi di interpretazione autentica), la disposizione sarebbe stata affetta da evidenti vizi di legittimità costituzionale:
a)
eccesso di potere legislativo, rappresentato dalla violazione del principio costituzionale di “affidabilità”, consistente nel principio che, come regola generale, il singolo deve poter conoscere lo “stato del diritto” in base al quale opera e tale stato del diritto non deve poi essere modificato con effetti retroattivi2 (lo “stato del diritto”, vigente fino al 31.12.2011, è proprio quello che si è formato attraverso l’interpretazione dei commi 4 e 5 dell’art. 41 del CCNL che è stata fatta dai giudici del lavoro con le sentenze sopra richiamate, tra le quali quella recentissima della Corte di Appello di Firenze in data 8.11.2011, che costituisce autorevolissimo precedente);
b)
violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, secondo cui la potestà legislativa è esercitata dallo Stato….nel rispetto…….dei vincoli derivanti dall’ordinamento
2 Cfr. Gustavo Zagrebelsky, “Manuale di diritto costituzionale ”, Vol. I, “Il sistema delle fonti del diritto”, pag. 93, UTET, 1992
4
comunitario e dagli obblighi internazionali, compromettendo in tal modo il principio di certezza delle situazioni giuridiche3.
Infatti, il legislatore (ove la detta disposizione venisse erroneamente considerata retroattiva) sacrificherebbe, vulnerandoli irrimediabilmente, diritti quesiti già entrati a far parte del patrimonio dei pubblici dipendenti, compromettendo in tal modo anche il principio di certezza delle situazioni giuridiche.
Al riguardo, le Convenzioni internazionali, all’art. 1 (Protezione della proprietà) del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, prevedono che “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
Per pacifica giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, ad onta del riferimento letterale al solo diritto di proprietà, la disposizione appare invocabile per tutelare qualunque diritto di natura patrimoniale, sia esso reale o di credito.
Secondo la Corte di Strasburgo per dimostrare l’avvenuta lesione del Protocollo è sufficiente che la parte dimostri di essere titolare del credito in base al diritto interno.
Nel caso che ci occupa, la titolarità del diritto alla maggiorazione pare agevolmente dimostrabile sulla scorta della piana interpretazione delle disposizioni contrattuali previgenti e del diritto vivente costituito dalla consolidata giurisprudenza formatasi sul tema (sentenze sopra richiamate della Corte di Appello di Firenze e dei Tribunali di Pistoia, La Spezia, L’Aquila, Rimini e Mantova).
Da quanto sopra esposto, in merito alla giurisprudenza formatasi sul punto e all’irretroattività dell’art. 4, comma 26, della L. 12.11.2011 n. 183 (pena l’incostituzionalità della disposizione), discende, come sopra detto, che le erogazioni di somme fino al 31.12.2011, in attuazione dei commi 4 e 5 dell’art. 41 del CCNL 16.5.2001, considerando la retribuzione di posizione comprensiva del “galleggiamento” la “base” cui aggiungere la maggiorazione per incarichi aggiuntivi (sempre che l’incarico aggiuntivo, come stabilito dalla Corte d’Appello di Firenze, abbia rappresentato un onere maggiore di quanto non lo sia stato in una diversa realtà dove l’incarico aggiuntivo non sia stato affidato), sono pienamente legittime e le eventuali azioni di recupero assolutamente arbitrarie.
Viceversa, le somme (conteggiate secondo il consolidato orientamento dei giudici del lavoro), dovute fino al 31.12.2011 e non corrisposte entro tale data, non potranno più essere pagate a partire dall’1.1.2012, stante il divieto di cui al secondo periodo del comma 26 dell’art. 4 della L. 183/2011, esteso anche alle somme “riferite a periodi già trascorsi”.
Aggiungasi che il legislatore, nel tentativo di ribaltare il contenzioso che vedeva le amministrazioni soccombere sistematicamente, ha emanato una disposizione sulla cui tenuta costituzionale si nutrono fortissimi dubbi.
Si possono, infatti, ipotizzare (come abbiamo già evidenziato nel nostro precedente articolo richiamato nella nota a piè di pagina n.1) i seguenti vizi di legittimità costituzionale inficianti la detta disposizione.
A) Violazione del principio di giusta ed equa retribuzione ex art. 36 della Costituzione.
Infatti, la violazione della detta norma costituzionale (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro…”) appare manifesta, atteso che
3 Cfr., in proposito, l’articolo degli Avv. E.N. Fragale e A. Stalteri “Allineamento retributivo dei segretari comunali e provinciali e Legge di stabilità per l’anno 2012”, pubblicato sulla rivista LEXITALIA n. 1/2012 e reperibile all’indirizzo http:// www.lexitalia.it/p/fragale_segretari.htm
5
in tutte e tre le situazioni in cui possono venire a trovarsi gli Enti locali (che abbiano attribuito al segretario funzioni aggiuntive ed abbiano in servizio dirigenti, di cui almeno uno beneficiario di una retribuzione di posizione più elevata rispetto a quella base spettante al segretario medesimo) si ottengono effetti contrastanti con il principio costituzionale della giusta ed equa retribuzione.
1^ ipotesi: il Segretario, a seguito di incarichi aggiuntivi, fruisce della maggiorazione ex comma 4 dell’art. 41 del CCNL 16.5.2001; tuttavia, sommando alla retribuzione di posizione base dello stesso segretario tale maggiorazione, si ottiene una retribuzione di posizione complessiva che è comunque inferiore a quella percepita dal dirigente maggiormente retribuito.
In tale ipotesi (secondo la nuova disposizione legislativa) si corrisponde al segretario la maggiorazione ex comma 4 integralmente ed un ulteriore importo (a titolo di “galleggiamento”) fino al raggiungimento della retribuzione di posizione dirigenziale più elevata nell’ente.
Paradossalmente, gli incarichi aggiuntivi vengono formalmente retribuiti, ma il segretario, anche senza incarichi aggiuntivi, avrebbe raggiunto ugualmente, in virtù del “galleggiamento”, quel tetto retributivo (rappresentato dalla retribuzione di posizione del dirigente più pagato); in pratica, è come se le funzioni aggiuntive non gli venissero remunerate, con conseguente violazione dell’art. 36 della Costituzione.
2^ ipotesi: il Segretario, a seguito di incarichi aggiuntivi, fruisce della maggiorazione ex comma 4, ricevendo una retribuzione di posizione complessiva che è pari a quella percepita dal dirigente più pagato.
Secondo la nuova disposizione legislativa, il segretario percepisce integralmente la maggiorazione ex comma 4 e nulla a titolo di “galleggiamento”; pure qui le funzioni aggiuntive solo formalmente vengono remunerate, perchè anche senza incarichi aggiuntivi il Segretario avrebbe raggiunto, in forza del “galleggiamento”, quel tetto retributivo. Nella sostanza, come nell’ipotesi precedente, le funzioni “aggiuntive” non vengono retribuite, in violazione dell’art. 36 della Costituzione.
3^ ipotesi: il Segretario, a seguito di incarichi aggiuntivi, fruisce della maggiorazione ex comma 4 dell’art. 41 del CCNL, ricevendo una retribuzione di posizione complessiva che è superiore a quella percepita dal dirigente maggiormente retribuito.
Secondo la nuova disposizione legislativa, il “galleggiamento” non opera, dovendosi applicare prima la maggiorazione ex comma 4 e solo successivamente (se ed in quanto la retribuzione di posizione complessiva risulti inferiore a quella del dirigente maggiormente retribuito) la “parificazione” ex comma 5. Pertanto, le funzioni aggiuntive formalmente verrebbero retribuite, ma nella sostanza le cose stanno in termini diversi.
Infatti, senza quegli incarichi aggiuntivi, il Segretario “galleggerebbe” comunque fino ad un certo importo (quello del dirigente maggiormente retribuito); perciò, è come se le funzioni aggiuntive gli venissero retribuite non integralmente ma per differenza (tra l’ammontare della maggiorazione ex comma 4 attribuitagli ed il “galleggiamento” ex comma 5, che avrebbe comunque percepito anche senza gli incarichi aggiuntivi), con violazione del canone costituzionale della giusta ed equa retribuzione.
Pertanto, in tutti e tre i suddetti casi, il risultato si porrebbe in contrasto con il principio di corrispettività, atteso che le funzioni aggiuntive non sarebbero in tutto o in parte remunerate.
B) Violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione, trattando in maniera uguale situazioni disuguali.
Si consideri, infatti, l’ipotesi in cui un segretario comunale percepisca 40 come retribuzione di posizione ed uno dei suoi dirigenti (il più pagato) 80.
In tal caso, il Segretario (in applicazione della nuova disposizione legislativa) potrà ottenere ulteriori 20 (50% della posizione) come aumento della posizione ai sensi ex comma 4 dell’art. 41 del CCNL e del “decentrato” del 2003 (arrivando così a 60) e potrà coprire la residua differenza applicando il “galleggiamento” (per una somma pari a 20).
Supponiamo che quel segretario cessi dal servizio e venga sostituito da un collega al quale l’Amministrazione non attribuisce compiti aggiuntivi.
6
Al nuovo segretario non spetta alcuna maggiorazione, ai sensi del comma 4 dell’art. 41 del CCNL e del “decentrato” del 22.12.2003.
Tuttavia, egli ottiene un aumento della retribuzione di posizione, in virtù del “galleggiamento” (ex comma 5 dello stesso art. 41 del CCNL), che gli consente di raggiungere ugualmente 80.
Con la conseguenza che i due segretari sono pagati in identica misura (ma il primo svolge più compiti e assume maggiori responsabilità) contro i più elementari principi di uguaglianza sostanziale.
C) Violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione, come divieto di trattamenti normativi mossi da una ragione concreta.
Infatti, la nuova disposizione legislativa, che dovrebbe avere un carattere generale ed astratto, è rivolta invece ad interferire con fattispecie concrete e nei confronti, non della dinamica retributiva complessiva riguardante ampie categorie di personale, ma di una specifica voce retributiva di una sola categoria di lavoratori del settore pubblico ben individuata (quella dei segretari comunali).
Ciò si desume chiaramente dalla “relazione tecnica” allegata al ddl. di stabilità 2012, ov’è scritto che “a seguito dell’instaurarsi di una significativa mole di contenzioso, la giurisprudenza di merito, in primo grado, si sta orientando su posizioni interpretative in contrasto con quanto sostenuto – in accordo con l’Aran e con il dipartimento della Funzione pubblica – dallo scrivente (Ministero dell’Economia e Finanze, ndr.): da ciò effetti onerosi per i bilanci degli enti e quindi per la finanza pubblica. Alla luce del quadro delineato, appare necessario un intervento, il quale…… ponga un argine agli effetti negativi, in termini retributivi, delle sentenze finora emanate…”.
Trattasi, pertanto, di una legge che devia dal suo fine (eccesso di potere legislativo), violando il principio di uguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.), come divieto di trattamenti normativi indotti da una ragione concreta.
D) Violazione del canone di ragionevolezza con riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Invero, la nuova disposizione legislativa (alla luce anche degli esempi sopra prospettati) appare irragionevole, in quanto contraddice la ratio dell’istituto della maggiorazione ex comma 4 dell’art. 41 del CCNL del 16.5.2001, consistente nella valorizzazione delle funzioni aggiuntive4.
Come dimostrato, infatti, al precedente punto A), in tutte e tre le suddette situazioni in cui possono venire a trovarsi gli Enti locali (che abbiano attribuito al segretario funzioni aggiuntive ed abbiano in servizio dirigenti, di cui almeno uno beneficiario di una retribuzione di posizione più elevata rispetto a quella base spettante al segretario medesimo) le funzioni aggiuntive non vengono in tutto o in parte remunerate.
L’irragionevolezza della novella legislativa emerge in maniera ancor più evidente, arrivando ai limiti del paradosso, ove si considerino gli effetti della norma sul trattamento pensionistico dei segretari comunali e provinciali.
Come noto, le voci della retribuzione che concorrono a formare la base pensionistica sono classificate in quota "A" o in quota "B": le prime concorrono a costituire il trattamento pensionistico per l’intero importo, le seconde in misura pressoché insignificante.
In particolare, nella c.d. quota A sono da considerare, ai sensi del primo comma dell'art. 15 della l. n. 1077/59 gli "…emolumenti fissi e continuativi o ricorrenti ogni anno che costituiscono la parte fondamentale della retribuzione corrisposta, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative o regolamentari ovvero dei contratti collettivi di lavoro come remunerazione per la normale attività lavorativa richiesta per il posto ricoperto".
4 Cfr., E.N. Fragale e A. Stalteri “Allineamento retributivo dei segretari comunali e provinciali e Legge di stabilità per l’anno 2012”, cit., pubblicato sulla rivista LEXITALIA n. 1/2012 e reperibile all’indirizzo http:// www.lexitalia.it/p/fragale_segretari.htm
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Ebbene, mentre la retribuzione di posizione - "allineata" attraverso il c.d. galleggiamento - rientra in quota A, l’Inpdap attualmente, nonostante pronunce giurisprudenziali di segno contrario, riconduce la maggiorazione di cui al c. 4 dell’art. 41 in quota B.
Ne consegue che, per effetto della novella legislativa, al segretario comunale titolare di funzioni aggiuntive spetterà, con ogni probabilità, un trattamento pensionistico deteriore rispetto a chi dette funzioni aggiuntive non le svolga; infatti, mentre il primo, percependo la maggiorazione, che assorbe di fatto l’allineamento, vedrà ricadere in quota B la parte dell’indennità di posizione risultante dalla maggiorazione, il secondo invece potrà beneficiare dell’intera indennità allineata in quota A5.
E) Violazione del principio di autonomia della contrattazione collettiva ex art. 39 della Costituzione, non limitandosi il legislatore ad un intervento di quadro, ma alterando i processi di relazione sindacale.
Vero è, infatti, che legge e contratto collettivo di lavoro possono concorrere sulla stessa materia e che la prima prevale sul secondo; ma i compiti della legge sono istituzionalmente diversi, poiché la legge ha una funzione specifica, che la abilita solo ad un intervento di quadro della contrattazione, non certo per alterare la contrattazione stessa a favore di una parte e a danno dell’altra, com’è avvenuto nel caso in esame.
Anche un obiettivo di politica economica generale può richiedere misure puntuali che non cessano per questo di assumere il valore di quadro dell’attività contrattuale (qualcosa di analogo può avvenire con le norme di principio previste nell’art. 117, comma 3, della Costituzione).
Ciò che deve ritenersi eccedente il potere del legislatore è il suo intervento come se fosse una parte della contrattazione, al di fuori di un disegno politico-legislativo di portata generale secondo l’art. 41, co. 3, Cost. e con effetti tali da alterare l’autonomia dei processi di relazione sindacale.
F) Violazione dell’art. 39 della Costituzione, in quanto il legislatore (lungi dall’avere realizzato un intervento eccezionale, transeunte e limitato nel tempo) ha legificato, e con carattere di stabilità, su una materia riservata alle parti negoziali, ledendo in tal modo l’autonomia della contrattazione collettiva, unica abilitata nel nostro ordinamento a determinare il valore delle tariffe salariali
Effetto tanto più dirompente in considerazione dell’avvenuta riformulazione, ad opera della L. 150/2009, del testo dell’art. 2, D.Lgs. n. 165/2001, per effetto del quale risulta oggi precluso alle parti negoziali di introdurre clausole derogatorie alle disposizioni di legge.
G) Violazione del principio di autonomia della funzione giurisdizionale ex art.101 della Costituzione, interferendo il legislatore con concreti processi in corso
La nuova disposizione legislativa, essendo rivolta ad interferire con concreti processi in corso (come si desume chiaramente dalla “relazione tecnica” allegata al ddl. di stabilità 2012), devia dal suo fine (eccesso di potere legislativo), violando, appunto, il principio di autonomia della funzione giurisdizionale (art. 101 Cost.).
Infatti, per tutti i giudizi in corso alla data dell’entrata in vigore della nuova disposizione (1.1.2012), potrebbe essere dichiarata la cessazione della materia del contendere per difetto dell’interesse ad agire in capo al ricorrente, ostando al pagamento delle somme eventualmente dovute (in applicazione dei meccanismi di calcolo vigenti fino al 31.12.2011) il divieto di cui al secondo periodo della stessa disposizione.
H) Violazione degli artt. 24 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo con riferimento all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU).
Il legislatore (come chiaramente affermato nella citata “relazione tecnica” allegata al ddl. di stabilità 2012) è appositamente intervenuto con lo strumento della norma generale ed astratta per ribaltare un contenzioso che lo vedeva soccombere sistematicamente.
5 A tali conclusioni sono pervenuti i giudici del lavoro (cfr. Tribunale di Pistoia, sentenza n. 98 dell’8.2.2010; Tribunale di La Spezia, sentenza n. 654 del 26.10.2010).
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Al riguardo, è stato recentemente affermato che “il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo sancito dall’art. 6 (delle norme di attuazione della Convenzione EDU, ndr.) ostano, salvo che per ragioni imperative di interesse generale, all’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia” (cfr. Corte di Strasburgo, sentenza in data 7 giugno 2011, Agrati e altri c. Italia, ricorsi n. 43549/08, 6107/09 e 5087/09).
Conclusivamente, si ritiene che gli enti locali, interpretando la nuova disposizione legislativa in senso innovativo e non retroattivo, non daranno corso ad azioni di recupero delle somme legittimamente corrisposte fino al 31.12.2011 per “galleggiamento” e maggiorazione e conteggiate secondo la giurisprudenza consolidata dei giudici del lavoro.
I segretari, invece, che si vedranno applicata la nuova disciplina di calcolo del “galleggiamento” con decorrenza dall’1.1.2012, si attiveranno nei giudizi promossi davanti al giudice del lavoro per sollevare la questione di legittimità costituzionale dall’art. 4, comma 26, della legge 12.11.2011 n. 183.
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